giovedì 29 ottobre 2009
Morin e la Follia necessaria
di Carlotta Mismetti Capua (da la Repubblica delle Donne Web di oggi)
Il mondo così com'è non va. Non vanno le città, aliene e malsane. Non va l'educazione, che manca di comprensione degli altri e conoscenza del pianeta. Non va l'economia, lontana dai nostri bisogni e dall'ecologia. E i rapporti umani sono solitari, senza poesia. Ma anche il nostro futuro non se la passa meglio: è fermo agli anni Sessanta e non ce ne siamo accorti. Secondo il sociologo francese Edgar Morin è tempo di reinventare tutto, partendo proprio dall'amore. E la crisi è l'occasione perfetta per ricominciare. "È necessaria una metamorfosi planetaria", ci spiega. "Abbiamo creduto che lo sviluppo tecnologico ed economico sarebbe stato la locomotiva della democrazia e del benessere. Ma oggi bisogna sostituire l'egemonia della quantità con quella della qualità, e mettere al centro beni immateriali come l'amore e la felicità". Edgar Morin, 88 anni e una carriera intellettuale tra le più brillanti del secolo scorso - direttore del Cnrs (Centre national de la recherche scientifique), presidente dell'agenzia per la Cultura dell'Unesco e accademico onorario in più di 15 università in giro per il mondo - si è occupato di etnologia, televisione, cinema, linguaggio della cibernetica, teoria dei sistemi, pedagogia e materie che erano snobbate dagli intellettuali degli anni Cinquanta. Tanto che la sua biografia, uscita quest'anno in Francia e firmata da Emmanuel Lemieux, lo definisce fin dal titolo L'indisciplinato. Ma oggi Morin si interessa soprattutto di ecologia. Nei suoi libri e nel dibattito pubblico propone "l'eco-sofia politica", e invita le sinistre (compreso il Pd) ad adottarla per trasformare il mondo. Come può il pensiero ecologico aiutare la politica? "La politica del risparmio energetico per esempio è anche una politica che lotta contro le intossicazioni consumistiche delle classi medie. È necessario che comprendiamo, e cominciamo a calcolare, anche l'ecologia della natura umana. La sofferenza, la felicità, l'amore, insomma tutto quello che è importante nelle nostre vite e che sembra extra-sociale, strettamente personale, non entra a far parte del Pil di un Paese. Tutte le soluzioni sono quantitative: ma quando la politica prenderà in considerazione l'immenso bisogno d'amore degli uomini?". Nel Metodo ha scritto che l'amore è la sola autentica religione dell'iper-complesso. Nella sua vita cosa ha imparato dell'amore? "L'amore per degli esseri iper-mammiferi come noi è la possibilità di rinascere, di ricominciare. Come cantava Bob Dylan, quello che non sta per nascere sta per morire: non c'è che l'estasi degli incontri per rigenerarci. E questo vale anche a livello collettivo: ho avuto la fortuna di vivere la liberazione di Parigi, nel maggio del 1968, e altri momenti di estasi della storia. Oggi mi pare sia uno di questi: non è straordinario che Barack Obama guidi gli Stati Uniti? L'imprevisto ci sorprende sempre, non bisogna mai dimenticare che è l'imprevisto a muovere il mondo". E invece, che cosa ci intossica? "Le idee semplificatrici. I pensieri chiari e distinti, che rifuggono l'oscurità, l'incertezza, la complessità. Quei pensieri che credono di possedere il mondo ma sono posseduti dal fantasma folle della lucidità". Qual è un pensiero sano? "Un pensiero ecologico è necessario ma non potrà essere sano se non accetta la propria follia. È nel dialogo tra ordine e disordine che sta l'anima del mondo. Nella nostra specie, particolarmente iper-psichica, iper-emotiva, il dialogo tra la misura e l'eccesso, tra la parte sapiens e quella demens, è indissolubilmente legato. Un vero pensiero ecologico deve avere orrore del sano: perché il migliore dei mondi possibili è anche il peggiore". La nostra società sembra più solitaria che solidale, per dirla con Camus. Come ricostruire quel che si è spezzato? "Camus, ecco, non separava il personale dal politico: negli anni Cinquanta, quando questo comportamento era visto con sospetto. Adesso è vero che abbiamo più solitudine che solidarietà: e devo ammettere che non siamo ancora riusciti a elaborare un pensiero politico che metta insieme l'ideale e l'esistenza di tutti i giorni, l'amore e la solidarietà". Lei afferma che le città sono oggi luoghi poco umani. Come è cambiata la sua Parigi? "Non è la stessa città dove sono cresciuto. Nuove solitudini, nuovi antagonismi, desideri frustrati e l'arresto di una prospettiva europea: tutto ciò ha reso la vita paralizzante. Ma io abito un mondo molto più grande di Parigi. Il Mediterraneo, per esempio, con i gusti musicali, gli odori, i piaceri". L'incertezza di oggi è sostenibile psicologicamente dagli esseri umani? "Siamo, come disse Heidegger, nel buio fondo della notte. Ma siamo anche al principio di un'alba, la seconda preistoria dell'uomo mondializzato. Non dobbiamo scordare che la vita è fragile, incerta e nello stesso tempo molto aperta: le potenzialità umane sono immense, dobbiamo usarle". Da oltre un secolo le malattie psichiche sono viste come malattie sociali. Come gestirle? "La follia fa profondamente parte della condizione umana: è solo il culto della ragione, dell'ordine, che non la considera umana. Ma è il culto stesso a essere demens, perché la parte irrazionale e oscura di noi uomini non è solo distruttrice o asociale. Genera anche la tenerezza, l'eros, l'estasi, la gioia, la fraternité. È molto utile costruire un dialogo con la nostro parte incosciente, senza volerla dominare". Secondo lei la sinistra non ha idee: come arrivare a giustizia e felicità? "La sinistra ha sempre coltivato lo spirito del cambiamento, ma oggi lo fa in forme frammentate. È necessario che la politica veda nell'incertezza radicale di questi tempi non tanto, o non solo, una minaccia di disordine e quindi una necessità di ordine (l'istanza della destra) ma la nascita, dolorosa certo, di una nuova società-mondo". Come possiamo superare "la nostra barbarie interiore"? "Abbiamo vissuto tanti disastri e tragedie, dal nazismo alla bomba atomica. Cosa altro ci serve per comprendere che siamo tutti perduti su questo pianeta? Per scoprire che non ci resta che amarci, fraternizzare, sentirci in una sola comunità di destino?". Che cosa la incanta ancora? "Piangere, amare, ridere, comprendere. Mi sento sempre in cammino, e nello stesso momento un vecchio, un adulto, un adolescente e un bambino. La curiosità e la passione hanno "fatto" la mia vita. Una curiosità onnivora e una infinita passione".
IL METODO DI EDGAR Umanista e studioso eclettico, Edgar Morin è conosciuto per l'interdisciplinarietà dei suoi lavori nei quali ha abbattuto le barriere tra le varie materie. Sta per arrivare in Italia, in un doppio appuntamento: l'11 novembre a Meet The Media Guru (iscrizioni gratuite fino ad esaurimento posti), a Milano, dove parlerà di "Etica della complessità", e dal 13 al 15 novembre al convegno "La qualità dell'integrazione scolastica", a Rimini: uscirà in quella occasione Rigenerare la parola politica (edizioni del Centro Studi Erickson, che ha divulgato recentemente anche un compendio della sua opera a cura di Sergio Manghi). Di lui Raffaello Cortina Editore ha pubblicato i sei volumi de Il metodo sulla complessità e Feltrinelli Pensare l'Europa, La vita della vita, Il cinema o l'uomo immaginario. Nel 1967 l'interesse di Edgar Morin per la comunicazione di massa si espresse nella rivista Communications, fondata con Georges Friedmann e Roland Barthes, di cui è condirettore, e che è disponibile online, archivi compresi (www.persee.fr/web/revues)
venerdì 9 ottobre 2009
Meeting ManagerZen 2009: ci siamo proprio rotti i paradigmi!
E' stato un week end denso di incontri, di idee e di riflessioni comuni, ma soprattutto di molto entusiasmo e voglia di partire verso nuovi modelli organizzativi, verso un nuovo modo di fare impresa e - perchè no? - anche politica*.
Tra le mille suggestioni proposte, ne lancio qui una, quella con cui abbiamo aperto i lavori. E' un invito a rompere i paradigmi che ci tengono prigionieri, i modelli, i modus operandi, le abitudini personali e lavorative che applichiamo pervicacemente anche quando cessano di avere un qualche successo evolutivo e che anzi ormai sono diventati un ostacolo sulla strada dell'evoluzione nostra e delle organizzazioni in cui lavoriamo. Basta con i tormentoni di :"...abbiamo sempre fatto così", "squadra che vince non si cambia", si stava meglio quando si stava peggio", "fan tutti cosi!", "non si è mai vista una cosa del genere", "non è possibile che.... "e chi più ne ha più ne metta. Basta con le etichette di genere, le omologazioni, la massificazione anche del pensiero, basta con l'anestesia totale di spirito e mente in cui sembra voglia farsi inghiottire la nostra civiltà. Non è necessario credere che tutto ciò sia ineluttabile, e se un contesto non ci piace, non chiediamo agli altri di incominciare a cambiare: facciamolo noi per primi e per iniziare bene, prima di agire o di parlare sulla scorta di una qualche certezza, chiediamoci se ciò che 'vendiamo' come verità universale non sia per caso solo un vecchio paradigma da superare...
*NOTA: faccio qui un piccolo atto politico e mi dissocio pubblicamente e completamente dal 'paradigma dell'Italianità' mostrato in questo video propagandistico. Dichiaro inoltre di sentirmi offesa, come cittadina, dal messaggio ivi contenuto e a che me è suonato come un invito alla secessione. Si tratta (nientepopodimenoche!) del video utilizzato dal PDL al domani della rielezione di Berlusconi....chi non l'avesse ancora visto è invitato a cliccare qui. (Ma vi prego di guardarlo con il dovuto distacco emotivo; in fondo, se non fosse vero, avrei potuto pensare ad uno scherzo con la regia di Mel Brooks.)
mercoledì 23 settembre 2009
Il nuovo portale dedicato al mondo del lavoro che mi piace...
mercoledì 29 luglio 2009
Arrivederci a Settembre!
Questo blog riaprirà a Settembre, ma continuerò a leggere i vostri sempre graditi commenti.
Nell'attesa di rincontrarci, vi lascio con un abbraccio virtuale e l'augurio di trascorrere una bella estate insieme alle vostre famiglie.
A presto,
Marta
lunedì 6 luglio 2009
9 luglio 2009: Conferenza su ' La responsabilità sociale d'impresa tra Etica e Spiritualità', con Giuseppe Robiati
Il mondo degli affari , proprio negli ultimi 10 anni, sta tentando di dare una svolta alle proprie attività economiche cercando di rispondere ad una domanda che gli uomini di affari più sensibili vanno spesso ponendosi : “ quale e’ il ruolo e quale è l’influenza delle imprese nel campo sociale ?Possono le imprese aiutare lo sviluppo sociale nel proprio contesto “?
Riflettendo sul significato della citazione sopramenzionata, si può notare come nel mondo si siano aperte delle consultazioni incrociate tra economisti, filosofi e studiosi delle scienze sociali, che cercano risposte su questo possibile contributo delle imprese allo sviluppo.
E’ nato quindi un movimento di pensiero che ha portato una grande innovazione culturale nelle imprese. Noto col nome di CSR - Corporate Social Responsability e cioè (la) responsabilità sociale delle imprese, questo movimento sta influenzando le politiche sociali dei governi , le politiche finanziarie delle società, i libri di testo degli studenti di economia nelle università di tutto il pianeta e il mondo operativo del business.
Nel modello classico del capitalismo la definizione di impresa e’ quella che ne identifica lo scopo primario nella creazione di profitto. I due secoli passati sono stati ricchi di imprese e imprenditori che hanno usato questa definizione nel vero senso del termine ed hanno utilizzato il mercato e la propria abilità imprenditoriale e manageriale per aumentare il profitto con qualsiasi mezzo. Negli ultimi anni però, gli uomini d’affari hanno capito anche che numerosi danni erano stati effettuati sia alle popolazioni che al pianeta ed hanno iniziato una serie di riflessioni e consultazioni che hanno portato una maggiore consapevolezza, ed hanno capito che l’unica garanzia per una stabilità economica risiede nella capacità di creare “benessere” nella società in senso più ampio.
Questo “ in senso più ampio “ ha comportato una ridefinizione innovativa dell’impresa; non più esclusivamente orientata al raggiungimento di profitto a qualsiasi costo, bensì ad altri obiettivi quali:
“la felicità dei dipendenti, il miglioramento della qualità della vita della comunità che ruota attorno ad essa, , il miglioramento nell’applicazione dei valori , il miglioramento dell’ambiente dell’ecosistema “ ecc.
Si e’ quindi arrivati a schematizzare questi altri obiettivi in sei principali entità, “ sei dimensioni chiave” connesse con l’impresa, di qualsiasi natura essa sia, in qualsiasi campo essa lavori e produca, in qualsiasi luogo si trovi.
Entità chiave che, in economia, vengono chiamate “ stakeholders”, verso cui l’impresa ha delle responsabilità. E da qui nasce l’allineamento alla nuova visione degli imprenditori che qui sotto si ripete:
“Il più importante ruolo che le imprese economiche devono svolgere nello sviluppo consiste dunque nel fornire alle persone e alle istituzioni i mezzi con cui essi possano conseguire il vero scopo dello sviluppo , ossia costruire le basi di un nuovo ordine sociale che coltivi le illimitate potenzialità latenti nella coscienza umana.”
Per informazioni sul Relatore clicca qui.
Ingresso al pubblico gratuito previa iscrizione a conferenceroom@fandis.it
giovedì 9 luglio - ore 20.30 - sala conferenze Fandis, via per Castelletto 69, Borgo Ticino NO
giovedì 11 giugno 2009
Se Gesù fosse nato ieri, farebbe il Manager?
Le qualità del capo ideale? Carisma, capacità di motivazione, fiducia nel team. E un mix di umiltà e fermezza, unite a una certa visione del futuro. Un po' come Gesù, insomma, che secondo un terzo degli impiegati italiani, è il modello ideale di capo anche sul lavoro.
Meglio di condottieri, leader politici e militari, che, da John Fitzgerald Kennedy a Napoleone, da Giulio Cesare a Garibaldi, cedono il passo nella top ten dei leader storici. Al secondo posto il profeta della non violenza Gandhi, che batte il rivoluzionario Che Guevara. E' quanto emerge da un'indagine condotta da Accor Services, società che si occupa di soluzioni innovative per coniugare benessere e produttività in azienda (dai famosi Ticket Restaurant ai Compliments fino al maggiordomo in ufficio) nell'ambito di un'iniziativa chiamata ''Il segreto del successo'', che ha coinvolto oltre 20.000 dipendenti italiani, maschi e femmine, appartenenti a settori aziendali differenti, per eleggere il capo ideale. A sorpresa, Gesù ha letteralmente sbaragliato gli avversari, raccogliendo ben il 35% delle preferenze (in pratica una su tre) e distaccando notevolmente il secondo posto di Gandhi, fermo al 22,2%, e il terzo di Che Guevara (9,1%). Insomma tre diversi tipi di rivoluzionari guidano la classifica dei leader più amati. Insomma, anche in ufficio Gesù è senza dubbio il capo ideale. Curiosamente, nella classifica stilata da Accor Services non figura nessun guru dell'economia o del mondo delle imprese, e scarseggiano anche i leader politici veri e propri. […]
Ho ritrovato lo stralcio di questo articolo tra alcune vecchie cartacce che albergano sulla mia scrivania e non ho potuto fare a meno di ripensare a un’immagine evangelica che mi è particolarmente cara (nonchè, credetemi, fonte di quasi quotidiana ispirazione professionale): il Cristo inginocchiato al cospetto degli apostoli, intento a lavare loro i piedi. Che immagine forte e bellissima, vero?
Provengo da una famiglia dichiaratamente laica, e in alcuni casi anche apertamente anti-clericale, eppure sin da piccola ho sentito un’intensa attrazione per la figura di Gesù in quanto figura storica reale e uomo straordinariamente moderno. Quel suo gesto allora, seguendone un’interpretazione non condizionata dalla fede, appare ancora più rivoluzionario e potente: Dio certo è capace di gesti infinitamente generosi e amorevoli, ma per un uomo, quanto può essere costato piegarsi al servizio dei propri servitori? In questo senso l’atto caritatevole di Gesù diventa un messaggio ancora più incisivo nei confronti della modernità e impone a chiunque è chiamato oggi a guidare altri uomini (e donne, naturalmente…) a ‘sacrificarsi’ (nel senso etimologico del termine di ‘fare sacro’) e agire unicamente per il bene loro, con umiltà e spirito di giustizia. Ma quanti di noi Managers operano davvero seguendo l’esempio cristiano? Quanto ci metteremo ancora a capire che la nostra autorità non verrà sminuita servendo, ma al contrario ne sarà accresciuta? Ed è solo una questione di autorevolezza…oppure è il Potere ciò cui relamente aspiriamo dietro al paravento di mille buone intenzioni?
Per par condicio, concludo con una bella didascalia all’immagine sopra riportata, tratta da un libro di un autorevolissimo esponente della Chiesa. I presupposti sono diversi dai miei, ma restano identiche, nella sostanza, le conclusioni.
“Il gesto di Gesù è un gesto rivelatore che ci dice non soltanto ciò che Gesù ha fatto, ma ciò che Dio è. E qui ci troviamo davanti ad un mistero paradossale: Gesù manifesta Dio ‘come’ a servizio dell’Uomo. Ma se Dio è ciò che egli ci manifesta di sè in quanto si pone al nostro servizio e se il Logos, che è la ragione ultima di tutte le cose, si manifesta come chi è a totale disposizione nostra, allora ci viene anche rivelato il senso ultimo della nostra esistenza, che è la nostra totale disponibilità agli altri”
Carlo Maria Martini, Il Vangelo secondo Giovanni, Roma (Borla), 212
Su questo tema, che mi sembra attualissimo in un momento in cui la situazione economica e il mercato del lavoro stanno mettendo molti lavoratori in difficoltà, vorrei che tutti i lettori, che si occupano come me di persone nei contesti aziendali, si impegnassero in una sincera riflessione e si ponessero di fronte a questo esempio evangelico in un sereno atteggiamento di autovalutazione.
Chi vuole, è ovviamente più che benvenuto a condividere qui i suoi pensieri…
giovedì 28 maggio 2009
Il responsabile delle Risorse Umane
Ecco un libro che potrete mettere in valigia per le vostre prossime vacanze: non si tratta di un manuale per addetti ai lavori, bensì di un 'noir' scritto da un professore di letteratura comparata, Abraham Ben Yehoshua, presso l'università di Haifa (Israele) ed edito da Einaudi nella collana Super ET. Prezzo: € 11,00.
Abstract:
Un terrorista suicida si fa esplodere in un mercato di Gerusalemme. Una donna muore. Era straniera, viveva da sola in una squallida baracca di un quartiere di religiosi. Nessuno va a reclamare il suo cadavere all'obitorio del Monte Scopus. Eppure Julia Regajev aveva ancora formalmente un lavoro, come addetta alle pulizie in un grande panificio della città. Un giornalista senza scrupoli sfrutta il caso per imbastire uno scandalo e denuncia la 'mancanza di umanità' dell'azienda, che non si è nemmeno accorta dell'assenza della dipendente.
Tocca al responsabile delle risorse umane, spedito in missione dall'anziano proprietario del panificio, cercare di rimediare al danno d'immagine. Ma il viaggio verso la compassionevole sepoltura della donna si rivela per lui molto più importante di un'operazione di facciata nei confronti dell'opinione pubblica. Per un personaggio di Yehoshua, essere responsabile significa non tanto essere colpevole, ma soprattutto portare attivamente il peso di un imperativo morale. Così il responsabile delle risorse umane impara che anche una piccola colpa, come quella di cui si è macchiata la sua azienda, non va trascurata, perchè anche le piccole colpe possono avere un potere terribile.
Buona lettura!
lunedì 11 maggio 2009
28 maggio 2009 : Conferenza su 'Felicità e lavoro' sul Lago Maggiore
di Alberto Peretti
Occorre partire da una constatazione tanto semplice quanto trascurata: quando lavoriamo non produciamo solo beni o servizi, ma produciamo noi stessi, diamo forma ad un pezzo assai significativo della nostra e dell’altrui esistenza. Quale vita produce il nostro lavoro? Quale salute, individuale e collettiva?
Da molto, troppo tempo il lavoro ha subito un processo di reificazione che ha indotto molti lavoratori a percepirsi come semplici funzioni, le loro realizzazioni come mere cose, il mondo del lavoro come retto soltanto da rapporti meccanici e strumentali mediati dal denaro.
Nel lavoro privato di tensione esistenziale l’essere umano non cerca la propria completezza, il proprio appagamento, la propria fioritura. In una parola, non cerca di produrre per sé e per gli altri una vita buona, una vita degna di essere vissuta. Il lavoro separato dagli elementi che rendono appagante e completa la vita lavorativa ridotto ad azione produttiva finalizzata al raggiungimento di uno scopo esterno ad essa e traducibile in un assoluto valore monetario genera mal essere, individuale e collettivo.
Il ben essere delle persone può e deve essere cercato non solo dopo il tempo di lavoro, ma anche al suo interno, riconnettendo le dinamiche produttive con la ricerca di una vita buona. Una qualsiasi proposta di civiltà si misurerà non da quanto marginalizzerà il lavoro, ma da quanto saprà e riuscirà a metterlo al proprio centro. Occorre cioè cercare il ben essere sociale non attraverso il lavoro, considerato come semplice momento e strumento produttivo o di arricchimento materiale, ma nel lavoro, inteso e valorizzato in quanto dimensione di buona esistenza.
L’intervento muove dall’idea che la riflessione etica è una condizione di ben essere lavorativo, che la salute nel lavoro è anche là dove le persone possono responsabilmente valutare, scegliere seguire indirizzi etici di comportamento. La riflessione etica permettere di osservare il lavoro quotidiano da una prospettiva più profonda e più ampia, che non sia soltanto la performanza o l’interesse economico, piuttosto l’arricchimento della dimensione umana, etica, spirituale, relazionale.
Anche grazie alla riflessione etica è possibile dotare il lavoro e i sistemi organizzativi di una vitale ed energizzante inquietudine spirituale. Ricollegando chi lavora alle profondità del suo animo, rompendo con il senso di estraneità e disinteresse che mortifica l’esistenza di molti.
Deve essere chiaro che l’etica lavorativa non ha nulla ha che fare né con la semplice deontologia professionale né con il banale “buonismo”. E’ innegabile che un lavoro riannodato alla profondità dell’esistenza di coloro che lavorano è un lavoro all’insegna della vera efficacia e dell’autentica efficienza. La creazione di condizioni per una vita buona nel lavoro è, tra l’altro, la migliore garanzia di qualità delle prestazioni e di eccellenza del servizio.
Ingresso gratuito. Per info e iscrizioni: conferenceroom@fandis.it
giovedì 7 maggio 2009
Potare
E' un gesto d'amore verso noi stessi, un impensabile gesto d'amore ".
Scrive ancora Luigi Padovese: “ Sono i distacchi che dobbiamo realizzare che ci riempiono di paura. Per questo ci capita di concentrare le nostre energie sul trattenere le cose. Ci si appesantisce inutilmente. Così ogni tanto sentiamo il bisogno di alleggerirci e di prendere il largo verso qualcosa di nuovo. Ci troviamo di fronte alla necessità di conciliare i nostri bisogni di sicurezza con i nostri bisogni di crescita.” Perché, citando Padre Vannucci, “ Chiunque vuole andare avanti nella vita bisogna che si distacchi, si separi, come il fiore si distacca dal bocciolo, il frutto dal fiore…rinuncia alla forma precedente per andare avanti”.
In un momento di quiete, riflettevo ieri su queste parole e sento che è giunto per me proprio uno di quei momenti in cui è necessario sbarazzarsi di qualche fardello inutile. Così ho cercato di visualizzare, di dare forma e contenuto al peso che sento gravarmi sulle spalle e ho stilato un primo elenco di ‘cose’ di cui vorrei liberarmi:
- in primis mi vorrei liberare di molti oggetti: mobili, vestiario, inutili supellettili. Dalla mia casa toglierei tutto ciò che non è strettamente necessario alla vita quotidiana (perché conservo 3 servizi di piatti, un numero imprecisato di bicchieri e tazze di tutte le fogge? Perché nell’armadietto del bagno albergano schiere di flaconi di bagnoschiuma? E l’elenco potrebbe proseguire per pagine…). Vorrei spazi vuoti, poche linee semplici e funzionali, un luogo visivamente riposante dove tutto abbia la propria precisa ragione d’essere;
- vorrei non dovermi preoccupare più di cosa indosso la mattina: qualcosa di comodo e dignitoso ma senza fronzolo alcuno. Una sorta di divisa che però non rappresenti altri che me stessa. Riconoscibile nella sua essenziale semplicità;
- vorrei potare gli inutili convenevoli, le salde ipocrisie della vita quotidiana, le convenzioni tutte e le sicurezze sventolate come bandiere per poter più spesso dire: “ Oggi non ho riposte per te, ma se vuoi possiamo trovarle insieme..”
- vorrei star fuori dai conflitti che non fanno crescere e servono soltanto a stabilire confini e potere;
- ma vorrei anche imparare a spegnere il bisogno latente di accettazione e riconoscimento che troppo spesso mi ha fatto esitare sulla strada della mia crescita e qualche volta mi ha persino indotto a piegare lungo una via non realmente desiderata;
- vorrei infine potermi lasciare alle spalle tutte le cose che mi sono state ‘date’ in eredità, in consegna, in regalo che non ho mai chiesto, che non mi servono o che addirittura mi rallentano la marcia;
- voglio imparare a non cercare più alibi per non soddisfare subito questi desideri.
- Voglio ripartire leggera e questo è il mio proposito di oggi.
E voi che cosa vorreste potare nella vostra vita o nelle vostre organizzazioni?
martedì 24 marzo 2009
Gone with the flow
per te Alessandra, per tutto quello che ci siamo raccontate e per il tuo giovane entusiasmo...
Cito spesso questa parabola di Saint-Exupéry quando mi trovo a parlare di ‘Motivazione’ con colleghi Managers e lo faccio perché non credo che si possano realmente ‘motivare’ le persone. Almeno non direttamente, attraverso stimoli ‘esterni’ come premi e punizioni. Non nego che un qualche risultato a breve termine si possa anche ottenere con incentivi monetari e di carriera o con qualche benefit in più, ma siamo proprio sicuri che questi siano mezzi adatti a fidelizzare le persone, a renderle veramente creative ed efficienti? O non si tratta forse di un malcelato ricatto?
Negli ultimi trent’ anni, la Professoressa Teresa Amabile, studiosa dell’ Unità di Gestione Manageriale alla Harvard Business School, ha condotto estensive ricerche su studenti e professionisti per identificare i segreti della motivazione e ha scoperto che: primo, le ricompense incoraggiano le persone a concentrarsi strettamente su di un compito, svolgendolo nel modo più rapido possibile ed assumendosi pochi rischi. Secondo, le persone si sentono controllate dalla ricompensa. Si sentono meno autonome, e questo può interferire con le prestazioni. Infine, le ricompense estrinseche possono erodere la motivazione intrinseca. Le persone che percepiscono se stesse come se lavorassero per denaro, approvazione o successo competitivo trovano il loro lavoro meno piacevole, e perciò non lo svolgono bene.
Al contrario, la motivazione intrinseca nasce ove vi siano gratificazione nell’attività stessa, curiosità e senso di padronanza – dato dall’equilibrio tra obiettivo sfidante e consapevolezza delle proprie competenze - inoltre questo tipo di motivazione è strettamente legato alla sensazione di riuscire a contribuire ad un atto ‘generativo’.
Tutto ciò fa riflettere su quanto sia fondamentale incanalare le nostre emozioni verso il piacere di “fare quel che si fa” senza ostinatamente porre come condizione il risultato o la valutazione finale. Quando gli uomini e le donne sono impegnati in lavori che amano e vengono messi in grado di essere completamente immersi in un’attività nella quale sono valorizzati e riconosciuti, allora vedranno sgorgare la creatività. Anche nei momenti bui. Spesso ne traggono la sensazione di lavorare in uno ‘stato di grazia’ o ‘stato di flow’ - “… flow – the state in which people are so involved in an activity that nothing else seems to matter; the experience itself is so enjoyable that people will do it even at great cost, for the sheer sake of doing it.” (Csikzentmihalyi, 1991) - in cui il tempo sembra sospeso e tutto scorre rapidamente e fluidamente verso il risultato, in una sorta di totale coinvolgimento emozionale simile all’innamoramento. Lo stato di flow nasce ‘sull’orlo del caos’ tra 'noia' (indotta da basso contenuto sfidante) e ansietà (indotto da eccesso di pressione) ed è su questo sottile confine che i manager possono davvero costruire le condizioni favorevoli all’emergenza della motivazione: prima di tutto offrendo un progetto chiaro e di cui ci si possa ‘innamorare’, sfidante, ma non irraggiungibile, in cui sia richiesta una partecipazione creativa e non meramente esecutiva.
Prima conclusione: tutti abbiamo bisogno di denaro e cibo per vivere, ma solo alcuni di noi vivono per denaro o per ingozzarsi. Personalmente non credo che sarei felice di selezionare candidati appartenenti all’ultima categoria e non vorrei trattare gli altri come se vi appartenessero.
Seconda conclusione: ciascuno di noi ha diverse motivazioni che lo spingono ogni mattina ad alzarsi per andare al lavoro ( ambiente di lavoro, colleghi, obiettivi sfidanti, tipologia di lavoro, possibilità di carriera, formazione professionale ecc. ). Il primo errore di un Manager è quello di ritenere che tali differenze non siano rilevanti e che possa esistere un’unica strategia motivazionale valida per tutti.
Terza conclusione: se premi, aumenti e riconoscimenti vari hanno un effetto limitato nel tempo e non agiscono su tutti nello stesso modo e comunque non esiste una leva motivazionale che sia universale, allora come si può soddisfare la molteplicità di bisogni inespressi delle persone, come è possibile indirizzarli tutti quanti senza perdere di efficacia?
Forse è il tema della ‘Motivazione’ che è deviante, forse è un problema di prospettiva: stiamo guardando il dettaglio e ci sfugge il piano superiore, quello che vedremmo se facessimo un passo indietro e guardassimo ai macro-bisogni, o meglio, a quello che ne rimane quando la nostra sopravvivenza è assicurata. Il bisogno primario allora, quello che ci accomuna tutti, a tutte le latitudini e in tutte le comunità sociali è quello di ‘dare un senso’ al nostro agire. Abbiamo bisogno di sapere che ciò che facciamo ha uno scopo, la sua ragione di esistere. Che ciò che facciamo sia utile e in quanto tale apprezzato. Anche inconsapevolmente abbiamo bisogno di sentire che il nostro passaggio in un’azienda – come su questa terra, peraltro - lascerà una traccia, giungerà in qualche modo alle future generazioni. Siamo programmati per questo: è parte del nostro istinto alla sopravvivenza della specie. I buoni leader riconoscono il valore di questo sentire e alimentano l’energia della propria squadra intorno ad un progetto, una ‘Vision, in cui si possa riconoscere. Come si potrebbero motivare altrimenti degli spaccapietre, se non insegnando loro a vedere la cattedrale oltre la singola pietra da squadrare?
martedì 17 marzo 2009
Quando il lavoro è (soprattutto) passione per le persone
Peoplexpress è uno strumento di selezione permanente, un servizio in abbonamento per le aziende, che, in aggiunta a quello più standard di valutazione e selezione del personale 'a richiesta', potranno usufruire ora di un bacino costantemente aggiornato di canditati già preselezionati e disponibili, a costi equi e sostenibili. Per i candidati, invece, rappresenta un mezzo per acquisire visibilità in modo qualificato, con la certezza di poter in ogni momento consentire ai selettori l’accesso alle informazioni più recenti e restare in pole position (con una normale operazione di ‘refresh’). Il data base, infatti, è gestito da professionisti determinati a trovare il lavoro giusto alla persona giusta nell’azienda migliore per lei - e non è dunque un anonimo calderone di curricula incompleti, confusi, imprecisi e spesso obsoleti. Nella sostanza, Peoplexpress è quindi principalmente un servizio con un forte contenuto etico, che a mio avviso proprio per questo si appresta a segnare il passo alle future generazioni di consulenti.
A questo punto, mi preme precisare che non ho presentato qui questo servizio per motivi di lucro personali (il mio profitto è infatti pari a 0, 00 Euro), ma perché credo fermamente nella filosofia di fondo delle persone, amici ormai, che lavorano in People Designers. La loro idea nasce da anni di esperienza nel campo della selezione e della formazione e soprattutto dal sincero desiderio di offrire non solo qualcosa di diverso ed innovativo, ma anche un modo concreto di aiutare imprese (anche piccole e con piccoli budget) e persone in cerca di impiego ad incontrarsi per un duraturo e reciproco beneficio.
In chiusura, vorrei fare un appello a tutti i managers che si occupano come me di recruitment all’interno delle aziende, affinchè riflettano sul valore di una selezione condotta su base permanente: cercare qualcuno per una sostituzione, o quando ‘proprio non ne possiamo fare a meno’ non è un buon fondamento su cui costruire il futuro di una squadra e tanto meno di un’intera organizzazione! Lo è invece esplorare costantemente il territorio alla ricerca di un particolare talento, meglio ancora, alla ricerca di una ‘bella persona’, con la mente aperta e ricettiva, che si possa innamorare di un ‘bel progetto’- questo naturalmente a patto che ce ne sia uno da offrire…ma questa è tutta un’altra storia e potremo parlarne più avanti – piena di curiosità e voglia di imparare cose nuove. Forse non saremo in grado di assumerla immediatamente, però intanto la inseriamo in una sorta di ‘wish list’, ci avviamo un dialogo magari e, quando i tempi sono maturi, abbiamo finalmente la serenità necessaria ad affrontare la selezione definitiva non di un candidato accettabile, ma proprio di quello ‘giusto’. Perché accontentarsi di meno?
Per approfondimenti: www.peoplexpress.net
venerdì 20 febbraio 2009
La Cultura della Creatività
Spero piaccia a voi quanto è piaciuto a me. Buona lettura!
di Maria Cecilia Santarsiero (Studio Santarsiero)
[...] “Inutile provarci”, disse Alice. “ non si può credere a cose impossibili”.
“Io direi piuttosto che tu hai poca esperienza”, ribatté la Regina. “quando avevo la tua età, lo facevo sempre per mezz’ora al giorno. Talvolta addirittura sono riuscita a credere a sei cose impossibili prima della colazione”.
(Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll)
Dei molti processi vitali che attraversano l’organizzazione oggi, la cultura della creatività è tra quelli più necessari per affrontare la complessità dei cambiamenti in atto e poter accedere ai giochi della competizione.
Nella società del capitalismo postmoderno, infatti, non è più la produzione di beni a caratterizzare i mercati, non più il know-how tecnologico a portata di tutti, ma sono i saperi e la conoscenza a dettare le forme della concorrenza e del profitto.
Essere innovativi e veloci su questi terreni è quel che conta per rimanere al centro delle nuove forme di sviluppo dei mercati.
La cultura della creatività implica lo sviluppo della consapevolezza di muoversi in un mondo dove non esistono più modelli precostituiti e validi per ogni situazione, in cui non esistono schemi obbligati; ciò rende la creatività non più un elemento caratteristico di alcune funzioni o individui, ma un atteggiamento ed un’abilità che devono essere propri dell’intera organizzazione.
La creatività non può essere appresa nel vuoto, non è qualcosa che si realizza a comando, è una forma di interazione tra chi apprende e l' ambiente.
Ma è anche, la cultura della creatività, la più impertinente e la più sovversiva delle consolidate pratiche quotidiane del fare organizzativo e, di conseguenza quella che trova maggiori resistenze nella conquista di spazi di condivisione e accettazione nelle maglie della catena gerarchica e dei ruoli consolidati.
Sto parlando qui non della creatività come virtù artistica, geniale, innata e/o acquisita, di un particolare individuo, ma piuttosto di un orientamento, di una volontà, di una disposizione alla creatività che può essere certamente del singolo ma anche di una comunità che abbia scelto di adottare la creatività come stile, modalità propria per sperimentarsi in forme nuove di relazione, affrontare i problemi e innescare processi di innovazione.
E’ la disposizione a credere che anche ciò che ci appare impossibile ha la sua ragione di esistere, così come risponde la Regina ad Alice, decisamente sfiduciata nella possibilità di credere a cose impossibili.
[...]
Per fare spazio alla cultura della creatività un singolo, un gruppo, un’organizzazione dovrà prepararsi a distruggere prima che costruire. (Schumpeter ). Per capire ciò basta far riferimento alle azioni più tipiche che mettiamo in atto nelle attività pratiche.
Per rinnovare un tavolo del suo colore è necessario togliere ciò che del precedente rivestimento rimane, per ristrutturare un’abitazione bisognerà accettare la scomparsa anche di spazi e funzionalità a cui ci eravamo abituati, anche il semplice buttare un vecchio abito a cui siamo affezionati ci costa energia psichica ed emotiva.
[...]
Maynard Keynes identificò il vero problema delle aziende più di mezzo secolo fa: "La difficoltà non sta nelle nuove idee, ma nel sottrarsi alle vecchie idee che si ramificano, per coloro che sono stati educati come quasi tutti noi, in tutti gli angoli della mente". [...] La cultura della creatività sovverte i principi su cui molto spesso, nelle aziende, si prendono le decisioni:
“si è sempre fatto in questo modo, questo è il modo giusto di agire, il nostro capo vuole che si agisca in questo modo, secondo la nostra ricerca e i nostri dati è così che bisogna fare”
sostituendolo con un principio molto più ansiogeno e destrutturato: proviamo e vediamo...
[...]
Molto spesso invece quello che accade è che proprio perché i mercati, le strategie competitive e le normative cambiano, i modelli mentali preesistenti dei clienti e dei loro bisogni, dei concorrenti e delle loro strategie, delle regole del gioco e del gioco stesso, cambiano, mentre le organizzazioni tendono ad eccellere nel fare ciò che “era importante ieri ".
I sistemi di controllo direzionale limitano la creatività a causa della loro dipendenza dalla razionalità : ordine, routine, responsabilità, ruolo, potere, sistemi di misurazione sono i cardini della razionalità a cui siamo tanto affezionati.
La creatività mira a espandere il contesto entro cui prendere la decisione, si preoccupa più di porre le domande giuste che non di arrivare alla risposta nel modo più rapido possibile, si concentra in pari misura sull'attenta osservazione dei fatti e sull'interpretazione dei fatti.
Si concentra in pari misura sulle competenze di riflessione (che richiedono un certo distacco temporale dal problema) e sulle competenze di focalizzazione intuitiva che tendono ad accelerare i tempi di risoluzione dei problemi.
Non è l'assenza di regole che alimenta la creatività, ma è l'eccesso di regole che la inibisce.
lunedì 2 febbraio 2009
Consigli di lettura: Paul Watzlawick - Istruzioni per rendersi infelici
E' vero: noi umani amiamo pensare che l’infelicità sia (sempre e solo) fuori di noi, una variabile esogena insomma... una condizione ineluttabile che ci travolge e da cui cerchiamo vanamente di fuggire per tutta la vita.
Eppure la felicità è uno stato mentale che ci appartiene proprio in quanto essere umani: è una qualità insita nella libertà e nella consapevolezza di sé di tutti gli esseri senzienti. Perché la felicità è prima di tutto una scelta – siamo infatti liberi di reagire agli eventi sfavorevoli senza lasciarci soffocare da essi, separando ‘ciò che succede’ nella vita, da ‘ciò che siamo’ – ed è quindi consapevolezza della nostra natura, che ci sovviene quando dimentichiamo di voler soffrire, quando smettiamo di ricercare ossessivamente le ragioni per cui 'dobbiamo' essere infelici.
Vale la pena di riportare in proposito la conclusione del libro, che cita Dostoevskij:
“Tutto è buono ….Tutto. L’uomo è infelice perché non sa di essere felice. Soltanto per questo. Questo è tutto, tutto! Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante…”
Ve la lascio come riflessione della sera…
Les Farfadais - Lo 'Spirito' del Talento
MANA, 'lo spirito delle cose', è il titolo di questo spettacolo di 'circo visuale' nato dall'idea di due fratelli italo-francesi che intorno a sè hanno raccolto un gruppo di stupefacenti artisti-atleti con cui si apprestano a conquistare ogni platea del mondo.
Stéphane, Alexandre, Emiliano, Claudia, Francesca sono solo alcuni dei nomi che dovrei citare della compagnia Les Farfadais, ma ho scelto loro perchè sono amici: abbiamo mangiato insieme,visitato Parigi insieme; sono stata ospite nel loro loft-palestra, li ho ospitati in casa e nel mio camper....insomma, ho partecipato a tratti alla loro quotidiana normalità. Ho potuto così vedere 'oltre' la professione, le scene e i costumi (tutto rigorosamente made by farfadais!) e ho cercato di capire cosa si cela dietro un talento dirompente come il loro.
Credo che prima di tutto ci sia l'assoluta consapevolezza di aver ricevuto un dono, della necessità del sacrificio (avete idea di quanto dolore sia necessario imparare a sopportare per compiere quelle acrobazie aeree?), della responsabilità che comporta la propria scelta professionale, della disciplina, del rispetto verso gli altri (colleghi e pubblico) e poi naturalmente tanta passione; una passione che tutto e sempre divora.
Stéphane ed Alexandre sono sempre in volo, anche quando sono a terra, creano incessantemente e tutto li incuriosisce e li ispira a creare: hanno un rapporto tutto loro con la realtà che sembrano perennemente trascendere incarnando perfettamente il Mana, quell' energia spirituale che dà il nome al loro più famoso spettacolo. Il loro talento è così forte da riverberare in ogni luogo in cui si esibiscono e, guardandoli, più di una persona, oltre me, potrà giungere a scorgervi fors'anche l'impronta del Divino.
Mi chiedo che cosa sarebbe stato di loro se avessero preso altre strade, se le difficoltà degli inizi, i sacrifici, o qualche giudizio negativo li avesse fermati. Ma forse il Talento risiede proprio in questo: in una forza interiore che ti spinge a non arrenderti mai e che ti obbliga ad esercitare disciplina ferrea, in un'integrità che non ti concede alibi e giustificazioni costringendoti invece ad andare sempre un po' più in là dei tuoi limiti. Nonostante tutto.
Il talento non si può appendere all'attaccapanni quando torniamo a casa: è una qualità essenziale del nostro essere; è ciò che più di tutto fa di noi quello che siamo; è lì con noi quando facciamo la spesa o chiaccheriamo con gli amici al bar; è una luce che brilla e come tale deve essere lasciata in vista, non solo perchè è bello ammirarla, ma anche perché rende visibile agli occhi quello che intorno altrimenti resterebbe nell'ombra.
venerdì 23 gennaio 2009
Risorse Umane e Non Umane - Nuovi modi per lavorare insieme
Guardare la formazione dal punto di vista del ‘lavorare insieme’ significa porre l’attenzione
su come la formazione tende ad andare oltre l’aula’. Si abbassa la distanza tra docente discenti: stare in aula non è più assistere passivamente, ma sempre più ‘lavorare insieme’. Gli stessi partecipanti al momento formativo propongono argomenti, sollecitano il docente. Il docente
‘scende dalla cattedra’, tende ad essere sempre meno colui che dall’alto insegna, e sempre più colui che aiuta a costruire un discorso comune.
Spesso al docente tradizionale si affianca o si sostituisce un esperto, un testimone. Si lavora insieme per capire, a partire da analogie con mondi diversi: si lavora insieme per capire cosa possiamo ‘portare a casa’ dall’esperienza di uno chef, di un pilota d’aereo, di un allenatore sportivo. Acquistano dunque importanza nuove tecniche e nuove metodologie attive e partecipative: Action Learning, Outdoor Training, Formazione Analogica, Formazione Esperienziale.
Un modo peculiare di ‘andare oltre l’aula’ e verso il ‘lavorare insieme’ è l’eLearning. L’eLearning ha infatti uno specifico vantaggio sull’aula tradizionale dal punto di vista dell’interattività. L’eLearing permette di scegliere, in momenti diversi dei percorsi formativi, differenti modi di ‘stare insieme’: aule virtuali, newsgroup, chat, ecc. Allo stesso tempo, quale che sia la metodologia adottata, il tema del ‘lavorare insieme’ appare come luogo di incontro e di sintesi di diversi consolidati temi formativi: la leadership, il lavoro di gruppo, il team building, la delega, ecc. Ma anche al di là di questi tradizionali temi, il ‘lavorare insieme’ appare oggi in modo nuovo come bisogno primario delle imprese: si tratta di far ‘lavorare insieme’ persone di culture diverse, distribuite
luoghi geografici diversi, appartenenti a famiglie professionali diverse.
Il ‘lavoro collaborativo’ – supportato o no da piattaforme tecnologiche – è un’esigenza emergente presso le imprese, particolare quelle che si trovano di alla sfida dell’internazionalizzazione e
mercato globale. I modelli organizzativi, ben oltre l’organizzazione del ‘lavoro d’ufficio’ di persone operanti in un unico luogo, devono confrontarsi con la delocalizzazione, la possibilità di incontri solo virtuali (via mail, via conference call, ecc.). La distanza fisica, la numerosità delle persone coinvolte, le differenti culture nazionali, le differenze linguistiche, la tendenza a fare sharing di servizi comuni, la tendenza a creare centri di competenze e centri di eccellenza impongono la necessità di ripensare dalle radici la tradizionale ‘organizzazione del lavoro’.
Aspetto particolarmente importante del ‘lavorare insieme’ è il Knowledge Management. C’è l’esigenza di conservare le conoscenze prodotte in luoghi diversi da singole persone, gruppi e organizzazioni. C’è l’esigenza di conservare in modo organizzato le conoscenze prodotte in luoghi e tempi diversi. C’è l’esigenza di mettere a disposizione di singole persone, gruppi e organizzazioni le conoscenze che servono, quando servono.
Un’intera generazione di tecnologie e strumenti nasce con lo scopo di supportare ‘nuovi modi di lavorare insieme’. Pensiamo ai software di Business Process Management. Persone e attività sono connesse in un unico processo, che parte dall’accogliere l’aspettativa del cliente e arriva all’erogazione del servizio.
E allo stesso tempo, tramite il software, il processo è ‘tenuto insieme’ ai diversi livelli, dalla definizione delle strategie alle operation, fino ai processi di supporto. Pensiamo agli strumenti di workflow, dal capostipite Lotus Notes ai diversi strumenti fondati su tecnologie Web oggi disponibili. Ogni progetto di System Integration non può non avere al centro il tema del ‘lavorare insieme’. A ben guardare, i sistemi ERP si fondano sull’idea che le diverse funzioni aziendali, e quindi ogni persona al lavoro, possono e debbono ‘lavorare insieme’. A ben guardare, le architetture SOA non sono che un modo per far ‘lavorare insieme’ applicativi diversi, ognuno dedicato ad offrire servizio a una funzione aziendale e/o a un gruppo di persone al lavoro.
Si lavora insieme perché tutti abbiamo un indirizzo e-mail, un accesso a una chat, a strumenti di networking, strumenti per Conference Call, ecc. Questi strumenti di base possono essere usati in modi evoluti: gruppi di utenti.
Le Web Technologies, in particolare le piattaforme Web 2.0, nascono con lo scopo di supportare il lavoro collaborativo. Le piattaforme wiki, il Semantic Web, i CMS (Content Management System) si propongono come supporto per mettere le persone nelle condizioni di lavorare insieme efficacemente.
Il lavorare insieme si può declinare in modi diversi: scambiare informazioni, condividere conoscenze, lavorare contemporaneamente attorno ad uno stesso documento, incontrarsi virtualmente, ecc.
Un trend crescente vede come cuore del funzionamento dell’organizzazione il Portale Interno. Una piattaforma web 2.0 che permette di lavorare insieme, anche a centinaia di migliaia di persone operanti in luoghi diversi, parlanti lingue diverse.
Il Portale contiene le informazioni relative alle persone, in modo che sia possibile avere una visione d’insieme di coloro che lavorano in azienda.
Il portale permetti di fare Job posting, il portale ospita strumenti di networking, di lavoro collaborativo, di Knowledge Management. In una visione finale, il Portale Interno è l’interfaccia generalizzata che dà accesso anche alle procedure informatiche con cui ognuno lavora.
08.30 Inizio registrazione partecipanti
09.15 Benvenuto e apertura lavori
Tavole rotonde moderate da Francesco Varanini, direttore di Persone&Conoscenze
09.30 TEAM WORKING: PROCESSI ORGANIZZATIVI E FLUSSI DI LAVORO
Mario D’Ambrosio, Direttore Generale - AIDP Promotion
Fernando Giancotti, Generale di brigata aerea, Capo del Primo reparto - Stato Maggiore dell’Aeronautica, Ordinamento e Personale
Giuseppe Iacono, Responsabile Formazione e Consulenza HR e membro del Direttivo - Pico&Form
Marta Brioschi, Human Resources Manager – Fandis
10.30 PIATTAFORME TECNOLOGICHE PER IL LAVORO COLLABORATIVO
Beppe Carrella, Docente Organizzazione e Sistemi – Università Federico II di Napoli
Paola Fanelli, dirigente Retail & Private - BNL – Gruppo BNP Paribas e collaboratrice della cattedra di Gestione e Valutazione delle Risorse Umane – LUISS Guido Carli
Giuseppina Grimaldi, Responsabile Direzione Organizzazione e Sistemi - Centro Direzionale Fatebenefratelli - Provincia Religiosa di San Pietro, Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli
Stefano Savi, Direttore Sistemi Informativi – Inaz
Paolo Torri, Product Manager – Byte - the HR Company
11.30 Coffee Break
12.00 FORMAZIONE COME RETE: TUTTI DOCENTI E TUTTI DISCENTI
Pier Sergio Caltabiano, Presidente Nazionale – AIF (Associazione Italiana Formatori)
Paolo Esposito, Human Resources Manager – Sanofi – Aventis, stabilimento di Scoppito
Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e Gestione della Risorse Umane – Facoltà di Economia della LUISS Guido Carli e Direttore dell’Executive MBA - Luiss Business School
Maria Cecilia Santarsiero, Amministratore Delegato – Studio Santarsiero
13.00 Confronto aperto alla partecipazione del pubblico
13.30 Lunch Buffet