per te Alessandra, per tutto quello che ci siamo raccontate e per il tuo giovane entusiasmo...
Cito spesso questa parabola di Saint-Exupéry quando mi trovo a parlare di ‘Motivazione’ con colleghi Managers e lo faccio perché non credo che si possano realmente ‘motivare’ le persone. Almeno non direttamente, attraverso stimoli ‘esterni’ come premi e punizioni. Non nego che un qualche risultato a breve termine si possa anche ottenere con incentivi monetari e di carriera o con qualche benefit in più, ma siamo proprio sicuri che questi siano mezzi adatti a fidelizzare le persone, a renderle veramente creative ed efficienti? O non si tratta forse di un malcelato ricatto?
Negli ultimi trent’ anni, la Professoressa Teresa Amabile, studiosa dell’ Unità di Gestione Manageriale alla Harvard Business School, ha condotto estensive ricerche su studenti e professionisti per identificare i segreti della motivazione e ha scoperto che: primo, le ricompense incoraggiano le persone a concentrarsi strettamente su di un compito, svolgendolo nel modo più rapido possibile ed assumendosi pochi rischi. Secondo, le persone si sentono controllate dalla ricompensa. Si sentono meno autonome, e questo può interferire con le prestazioni. Infine, le ricompense estrinseche possono erodere la motivazione intrinseca. Le persone che percepiscono se stesse come se lavorassero per denaro, approvazione o successo competitivo trovano il loro lavoro meno piacevole, e perciò non lo svolgono bene.
Al contrario, la motivazione intrinseca nasce ove vi siano gratificazione nell’attività stessa, curiosità e senso di padronanza – dato dall’equilibrio tra obiettivo sfidante e consapevolezza delle proprie competenze - inoltre questo tipo di motivazione è strettamente legato alla sensazione di riuscire a contribuire ad un atto ‘generativo’.
Tutto ciò fa riflettere su quanto sia fondamentale incanalare le nostre emozioni verso il piacere di “fare quel che si fa” senza ostinatamente porre come condizione il risultato o la valutazione finale. Quando gli uomini e le donne sono impegnati in lavori che amano e vengono messi in grado di essere completamente immersi in un’attività nella quale sono valorizzati e riconosciuti, allora vedranno sgorgare la creatività. Anche nei momenti bui. Spesso ne traggono la sensazione di lavorare in uno ‘stato di grazia’ o ‘stato di flow’ - “… flow – the state in which people are so involved in an activity that nothing else seems to matter; the experience itself is so enjoyable that people will do it even at great cost, for the sheer sake of doing it.” (Csikzentmihalyi, 1991) - in cui il tempo sembra sospeso e tutto scorre rapidamente e fluidamente verso il risultato, in una sorta di totale coinvolgimento emozionale simile all’innamoramento. Lo stato di flow nasce ‘sull’orlo del caos’ tra 'noia' (indotta da basso contenuto sfidante) e ansietà (indotto da eccesso di pressione) ed è su questo sottile confine che i manager possono davvero costruire le condizioni favorevoli all’emergenza della motivazione: prima di tutto offrendo un progetto chiaro e di cui ci si possa ‘innamorare’, sfidante, ma non irraggiungibile, in cui sia richiesta una partecipazione creativa e non meramente esecutiva.
Prima conclusione: tutti abbiamo bisogno di denaro e cibo per vivere, ma solo alcuni di noi vivono per denaro o per ingozzarsi. Personalmente non credo che sarei felice di selezionare candidati appartenenti all’ultima categoria e non vorrei trattare gli altri come se vi appartenessero.
Seconda conclusione: ciascuno di noi ha diverse motivazioni che lo spingono ogni mattina ad alzarsi per andare al lavoro ( ambiente di lavoro, colleghi, obiettivi sfidanti, tipologia di lavoro, possibilità di carriera, formazione professionale ecc. ). Il primo errore di un Manager è quello di ritenere che tali differenze non siano rilevanti e che possa esistere un’unica strategia motivazionale valida per tutti.
Terza conclusione: se premi, aumenti e riconoscimenti vari hanno un effetto limitato nel tempo e non agiscono su tutti nello stesso modo e comunque non esiste una leva motivazionale che sia universale, allora come si può soddisfare la molteplicità di bisogni inespressi delle persone, come è possibile indirizzarli tutti quanti senza perdere di efficacia?
Forse è il tema della ‘Motivazione’ che è deviante, forse è un problema di prospettiva: stiamo guardando il dettaglio e ci sfugge il piano superiore, quello che vedremmo se facessimo un passo indietro e guardassimo ai macro-bisogni, o meglio, a quello che ne rimane quando la nostra sopravvivenza è assicurata. Il bisogno primario allora, quello che ci accomuna tutti, a tutte le latitudini e in tutte le comunità sociali è quello di ‘dare un senso’ al nostro agire. Abbiamo bisogno di sapere che ciò che facciamo ha uno scopo, la sua ragione di esistere. Che ciò che facciamo sia utile e in quanto tale apprezzato. Anche inconsapevolmente abbiamo bisogno di sentire che il nostro passaggio in un’azienda – come su questa terra, peraltro - lascerà una traccia, giungerà in qualche modo alle future generazioni. Siamo programmati per questo: è parte del nostro istinto alla sopravvivenza della specie. I buoni leader riconoscono il valore di questo sentire e alimentano l’energia della propria squadra intorno ad un progetto, una ‘Vision, in cui si possa riconoscere. Come si potrebbero motivare altrimenti degli spaccapietre, se non insegnando loro a vedere la cattedrale oltre la singola pietra da squadrare?
3 commenti:
Sempre belle parole ma di fatti concreti mai nessuno!!!
Se tutti i cosidetti manager fossero come Voi l'Italia sarebbe già sull'orlo dell'abisso.... Vergognatevi!
E' indubbio che la motivazione a fare cose egregie sia da ricercare nel piacere di fare dette cose di per se. Purtuttavia mi consenta: dopo averci ridotto alla fame con contratti rinnovati al ribasso e in ritardo e con un uso disinvolto del superminimo riassorbibile, sarebbe bene che ci pagaste un po' di più, altrimenti diventeremo una nazione di poveri barbari senza nemmeno quel po' di senso estetico che fa bene al cuore. Mi creda, si faccia un giro tra i dipendenti e vedrà che con i loro stipendio, di tempo per fare voli pindarici ne hanno ben poco. Lei è evidentemente una persona saggia, gentile ed intelligente; si renderà conto toccando con mano che chi lavora, ormai, ha bisogno dei soldi per tirare avanti e non per avidità.
Grazie per il tuo commento (cui avrei però preferito dare un nome...).
Non posso che condividere in pieno le tue parole, ma temo di non essere stata sufficientemente chiara e chiedo venia.
Quando parlavo di 'riconoscimenti monetari', non mi riferivo allo stipendio base che, ovviamente, è necessario a garantire i bisogni primari dei collaboratori. Nell'ultimo paragrafo sottolineavo infatti che tutti condividiamo un bisogno di 'dare un senso' al nostro fare, ma questo emerge solo DOPO aver garantito i bisogni ben più concreti di sussistenza (cibo, casa ecc.).
Con il mio post intendevo quindi solo suggerire ai manager l'opportunità di trovare vie nuove per 'stimolare la motivazione' oltre al ricorso a bonus monetari extra.
Il tema da te sollevato è purtroppo sempre più attuale e spinoso. Mi unisco alla tua voce per fare un appello affinchè questo sempre più diffuso malcostume ceda il passo ad un'imprenditoria più illuminata. Ne esistono già buoni esempi, i segnali sono buoni e anche se ci vorrà del tempo perchè le cose cambino, confido che progrediremo anche grazie al repulisti che questa crisi sta portando con sè. Forse sono un'illusa, lo ammetto, ma io preferisco ritenermi un'idealista che sparge piccoli semi di buon senso, sperando che possano un giorno germogliare nel terreno giusto.
Un abbraccio,
Marta
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