giovedì 28 maggio 2009

Il responsabile delle Risorse Umane


Ecco un libro che potrete mettere in valigia per le vostre prossime vacanze: non si tratta di un manuale per addetti ai lavori, bensì di un 'noir' scritto da un professore di letteratura comparata, Abraham Ben Yehoshua, presso l'università di Haifa (Israele) ed edito da Einaudi nella collana Super ET. Prezzo: € 11,00.

Abstract:

Un terrorista suicida si fa esplodere in un mercato di Gerusalemme. Una donna muore. Era straniera, viveva da sola in una squallida baracca di un quartiere di religiosi. Nessuno va a reclamare il suo cadavere all'obitorio del Monte Scopus. Eppure Julia Regajev aveva ancora formalmente un lavoro, come addetta alle pulizie in un grande panificio della città. Un giornalista senza scrupoli sfrutta il caso per imbastire uno scandalo e denuncia la 'mancanza di umanità' dell'azienda, che non si è nemmeno accorta dell'assenza della dipendente.
Tocca al responsabile delle risorse umane, spedito in missione dall'anziano proprietario del panificio, cercare di rimediare al danno d'immagine. Ma il viaggio verso la compassionevole sepoltura della donna si rivela per lui molto più importante di un'operazione di facciata nei confronti dell'opinione pubblica. Per un personaggio di Yehoshua, essere responsabile significa non tanto essere colpevole, ma soprattutto portare attivamente il peso di un imperativo morale. Così il responsabile delle risorse umane impara che anche una piccola colpa, come quella di cui si è macchiata la sua azienda, non va trascurata, perchè anche le piccole colpe possono avere un potere terribile.

Buona lettura!

lunedì 11 maggio 2009

28 maggio 2009 : Conferenza su 'Felicità e lavoro' sul Lago Maggiore




Il ben essere lavorativo e la riflessione etica nel lavoro

di Alberto Peretti

Occorre partire da una constatazione tanto semplice quanto trascurata: quando lavoriamo non produciamo solo beni o servizi, ma produciamo noi stessi, diamo forma ad un pezzo assai significativo della nostra e dell’altrui esistenza. Quale vita produce il nostro lavoro? Quale salute, individuale e collettiva?

Da molto, troppo tempo il lavoro ha subito un processo di reificazione che ha indotto molti lavoratori a percepirsi come semplici funzioni, le loro realizzazioni come mere cose, il mondo del lavoro come retto soltanto da rapporti meccanici e strumentali mediati dal denaro.
Nel lavoro privato di tensione esistenziale l’essere umano non cerca la propria completezza, il proprio appagamento, la propria fioritura. In una parola, non cerca di produrre per sé e per gli altri una vita buona, una vita degna di essere vissuta. Il lavoro separato dagli elementi che rendono appagante e completa la vita lavorativa ridotto ad azione produttiva finalizzata al raggiungimento di uno scopo esterno ad essa e traducibile in un assoluto valore monetario genera mal essere, individuale e collettivo.

Il ben essere delle persone può e deve essere cercato non solo dopo il tempo di lavoro, ma anche al suo interno, riconnettendo le dinamiche produttive con la ricerca di una vita buona. Una qualsiasi proposta di civiltà si misurerà non da quanto marginalizzerà il lavoro, ma da quanto saprà e riuscirà a metterlo al proprio centro. Occorre cioè cercare il ben essere sociale non attraverso il lavoro, considerato come semplice momento e strumento produttivo o di arricchimento materiale, ma nel lavoro, inteso e valorizzato in quanto dimensione di buona esistenza.

L’intervento muove dall’idea che la riflessione etica è una condizione di ben essere lavorativo, che la salute nel lavoro è anche là dove le persone possono responsabilmente valutare, scegliere seguire indirizzi etici di comportamento. La riflessione etica permettere di osservare il lavoro quotidiano da una prospettiva più profonda e più ampia, che non sia soltanto la performanza o l’interesse economico, piuttosto l’arricchimento della dimensione umana, etica, spirituale, relazionale.
Anche grazie alla riflessione etica è possibile dotare il lavoro e i sistemi organizzativi di una vitale ed energizzante inquietudine spirituale. Ricollegando chi lavora alle profondità del suo animo, rompendo con il senso di estraneità e disinteresse che mortifica l’esistenza di molti.

Deve essere chiaro che l’etica lavorativa non ha nulla ha che fare né con la semplice deontologia professionale né con il banale “buonismo”. E’ innegabile che un lavoro riannodato alla profondità dell’esistenza di coloro che lavorano è un lavoro all’insegna della vera efficacia e dell’autentica efficienza. La creazione di condizioni per una vita buona nel lavoro è, tra l’altro, la migliore garanzia di qualità delle prestazioni e di eccellenza del servizio.

Ingresso gratuito. Per info e iscrizioni: conferenceroom@fandis.it

giovedì 7 maggio 2009

Potare

Leggo un pensiero di uno scrittore, Massimo Orlandi, che afferma: " Potare. Si comprende bene perché questo verbo lo usiamo solo per le piante. Perché potare se stessi è molto più difficile. Non ci è facile riconoscere i nostri rami secchi, non ci piace rinunciare a nulla di ciò che abbiamo, perché tutto ciò che abbiamo, almeno così ci sembra, ci è necessario. Ci lamentiamo, questo sì. Di relazioni personali imbrigliate in se stesse, di un lavoro che si è reso arido, di una vita sociale claustrofobica, dell'essere vincolati a troppe sicurezze. Ma riteniamo che tutte queste condizioni siano inevitabili e ci offriamo mille alibi per non toccarle. La potatura interviene per recidere le fronde di quei percorsi che si sono fatti sterili senza aspettare che marciscano, magari travolgendo parti sane. Guccini ci ricorda che " bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà”. L'azione del potare, di un potere saggio e tempestivo come quello del contadino, certo all'inizio crea un vuoto; ma poi, lentamente, apre i pori, fa filtrare energia nuova, ci fa sentire più liberi, più veri.
E' un gesto d'amore verso noi stessi, un impensabile gesto d'amore ".

Scrive ancora Luigi Padovese: “ Sono i distacchi che dobbiamo realizzare che ci riempiono di paura. Per questo ci capita di concentrare le nostre energie sul trattenere le cose. Ci si appesantisce inutilmente. Così ogni tanto sentiamo il bisogno di alleggerirci e di prendere il largo verso qualcosa di nuovo. Ci troviamo di fronte alla necessità di conciliare i nostri bisogni di sicurezza con i nostri bisogni di crescita.” Perché, citando Padre Vannucci, “ Chiunque vuole andare avanti nella vita bisogna che si distacchi, si separi, come il fiore si distacca dal bocciolo, il frutto dal fiore…rinuncia alla forma precedente per andare avanti”.

In un momento di quiete, riflettevo ieri su queste parole e sento che è giunto per me proprio uno di quei momenti in cui è necessario sbarazzarsi di qualche fardello inutile. Così ho cercato di visualizzare, di dare forma e contenuto al peso che sento gravarmi sulle spalle e ho stilato un primo elenco di ‘cose’ di cui vorrei liberarmi:
- in primis mi vorrei liberare di molti oggetti: mobili, vestiario, inutili supellettili. Dalla mia casa toglierei tutto ciò che non è strettamente necessario alla vita quotidiana (perché conservo 3 servizi di piatti, un numero imprecisato di bicchieri e tazze di tutte le fogge? Perché nell’armadietto del bagno albergano schiere di flaconi di bagnoschiuma? E l’elenco potrebbe proseguire per pagine…). Vorrei spazi vuoti, poche linee semplici e funzionali, un luogo visivamente riposante dove tutto abbia la propria precisa ragione d’essere;
- vorrei non dovermi preoccupare più di cosa indosso la mattina: qualcosa di comodo e dignitoso ma senza fronzolo alcuno. Una sorta di divisa che però non rappresenti altri che me stessa. Riconoscibile nella sua essenziale semplicità;
- vorrei potare gli inutili convenevoli, le salde ipocrisie della vita quotidiana, le convenzioni tutte e le sicurezze sventolate come bandiere per poter più spesso dire: “ Oggi non ho riposte per te, ma se vuoi possiamo trovarle insieme..”
- vorrei star fuori dai conflitti che non fanno crescere e servono soltanto a stabilire confini e potere;
- ma vorrei anche imparare a spegnere il bisogno latente di accettazione e riconoscimento che troppo spesso mi ha fatto esitare sulla strada della mia crescita e qualche volta mi ha persino indotto a piegare lungo una via non realmente desiderata;
- vorrei infine potermi lasciare alle spalle tutte le cose che mi sono state ‘date’ in eredità, in consegna, in regalo che non ho mai chiesto, che non mi servono o che addirittura mi rallentano la marcia;
- voglio imparare a non cercare più alibi per non soddisfare subito questi desideri.
- Voglio ripartire leggera e questo è il mio proposito di oggi.

E voi che cosa vorreste potare nella vostra vita o nelle vostre organizzazioni?