Spero piaccia a voi quanto è piaciuto a me. Buona lettura!
di Maria Cecilia Santarsiero (Studio Santarsiero)
[...] “Inutile provarci”, disse Alice. “ non si può credere a cose impossibili”.
“Io direi piuttosto che tu hai poca esperienza”, ribatté la Regina. “quando avevo la tua età, lo facevo sempre per mezz’ora al giorno. Talvolta addirittura sono riuscita a credere a sei cose impossibili prima della colazione”.
(Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll)
Dei molti processi vitali che attraversano l’organizzazione oggi, la cultura della creatività è tra quelli più necessari per affrontare la complessità dei cambiamenti in atto e poter accedere ai giochi della competizione.
Nella società del capitalismo postmoderno, infatti, non è più la produzione di beni a caratterizzare i mercati, non più il know-how tecnologico a portata di tutti, ma sono i saperi e la conoscenza a dettare le forme della concorrenza e del profitto.
Essere innovativi e veloci su questi terreni è quel che conta per rimanere al centro delle nuove forme di sviluppo dei mercati.
La cultura della creatività implica lo sviluppo della consapevolezza di muoversi in un mondo dove non esistono più modelli precostituiti e validi per ogni situazione, in cui non esistono schemi obbligati; ciò rende la creatività non più un elemento caratteristico di alcune funzioni o individui, ma un atteggiamento ed un’abilità che devono essere propri dell’intera organizzazione.
La creatività non può essere appresa nel vuoto, non è qualcosa che si realizza a comando, è una forma di interazione tra chi apprende e l' ambiente.
Ma è anche, la cultura della creatività, la più impertinente e la più sovversiva delle consolidate pratiche quotidiane del fare organizzativo e, di conseguenza quella che trova maggiori resistenze nella conquista di spazi di condivisione e accettazione nelle maglie della catena gerarchica e dei ruoli consolidati.
Sto parlando qui non della creatività come virtù artistica, geniale, innata e/o acquisita, di un particolare individuo, ma piuttosto di un orientamento, di una volontà, di una disposizione alla creatività che può essere certamente del singolo ma anche di una comunità che abbia scelto di adottare la creatività come stile, modalità propria per sperimentarsi in forme nuove di relazione, affrontare i problemi e innescare processi di innovazione.
E’ la disposizione a credere che anche ciò che ci appare impossibile ha la sua ragione di esistere, così come risponde la Regina ad Alice, decisamente sfiduciata nella possibilità di credere a cose impossibili.
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Per fare spazio alla cultura della creatività un singolo, un gruppo, un’organizzazione dovrà prepararsi a distruggere prima che costruire. (Schumpeter ). Per capire ciò basta far riferimento alle azioni più tipiche che mettiamo in atto nelle attività pratiche.
Per rinnovare un tavolo del suo colore è necessario togliere ciò che del precedente rivestimento rimane, per ristrutturare un’abitazione bisognerà accettare la scomparsa anche di spazi e funzionalità a cui ci eravamo abituati, anche il semplice buttare un vecchio abito a cui siamo affezionati ci costa energia psichica ed emotiva.
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Maynard Keynes identificò il vero problema delle aziende più di mezzo secolo fa: "La difficoltà non sta nelle nuove idee, ma nel sottrarsi alle vecchie idee che si ramificano, per coloro che sono stati educati come quasi tutti noi, in tutti gli angoli della mente". [...] La cultura della creatività sovverte i principi su cui molto spesso, nelle aziende, si prendono le decisioni:
“si è sempre fatto in questo modo, questo è il modo giusto di agire, il nostro capo vuole che si agisca in questo modo, secondo la nostra ricerca e i nostri dati è così che bisogna fare”
sostituendolo con un principio molto più ansiogeno e destrutturato: proviamo e vediamo...
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Molto spesso invece quello che accade è che proprio perché i mercati, le strategie competitive e le normative cambiano, i modelli mentali preesistenti dei clienti e dei loro bisogni, dei concorrenti e delle loro strategie, delle regole del gioco e del gioco stesso, cambiano, mentre le organizzazioni tendono ad eccellere nel fare ciò che “era importante ieri ".
I sistemi di controllo direzionale limitano la creatività a causa della loro dipendenza dalla razionalità : ordine, routine, responsabilità, ruolo, potere, sistemi di misurazione sono i cardini della razionalità a cui siamo tanto affezionati.
La creatività mira a espandere il contesto entro cui prendere la decisione, si preoccupa più di porre le domande giuste che non di arrivare alla risposta nel modo più rapido possibile, si concentra in pari misura sull'attenta osservazione dei fatti e sull'interpretazione dei fatti.
Si concentra in pari misura sulle competenze di riflessione (che richiedono un certo distacco temporale dal problema) e sulle competenze di focalizzazione intuitiva che tendono ad accelerare i tempi di risoluzione dei problemi.
Non è l'assenza di regole che alimenta la creatività, ma è l'eccesso di regole che la inibisce.